Popolare Vicenza, la svalutazione brucia i risparmi dei 117m
Inviato: lun mar 28, 2016 6:08 pm
Popolare Vicenza, la svalutazione brucia i risparmi dei 117mila soci.
Il Cda riduce a 6,3 euro il prezzo dell’azione. Al via una valanga di cause per il rimborso
SANDRA RICCIO
MILANO
Una maxi svalutazione che, in un colpo solo, disintegra i risparmi di molte famiglie e di tanti imprenditori. Ai 117 mila azionisti della Popolare di Vicenza, che negli anni avevano creduto nella banca del Nord Est, non resteranno che pochi spiccioli: il 90% di quanto avevano investito è stato azzerato martedì sera dal consiglio di amministrazione dell’istituto che ha abbattuto il prezzo del titolo azionario a 6,3 euro dai 62,5 di prima (già in aprile dell’anno scorso era stato tagliato a 48 euro). E’ una batosta a cui molti erano ormai preparati: pochi mesi prima la vicina Veneto Banca aveva subito un’analoga sorte con le azioni deprezzate dell’81 per cento. Il peggio non è finito però perché adesso le azioni della Popolare di Vicenza verranno portate in Borsa (si deciderà tutto il prossimo 5 marzo). A quel punto sarà il mercato a stabilire il valore vero delle quote e le previsioni sono di altre salassate ancora.
In attesa di improbabili miracoli in Borsa, ai 117 mila azionisti (che si sommano agli 88 mila azionisti di Veneto Banca e agli altri 130 mila azionisti delle quattro banche salvate) non resta che la rabbia. Molti di loro si stanno muovendo anche sul piano legale per provare a riottenere indietro quel che avevano investito negli anni. Si moltiplicano le azioni e gli esposti alle procure. In questo un contributo arriva dalle associazioni di consumatori che hanno diverse iniziative sul campo. Per cercare di riottenere indietro i soldi puntano principalmente sulle azioni civili e in particolare sulla possibile invalidità del contratto stipulato. «Tra i casi che abbiamo esaminato ce ne sono moltissimi che rientrano in questa ipotesi – racconta Valentina Greco, avvocato dell’Unione Nazionale Consumatori -. Nel caso di Popolare Vicenza, molti questionari Mifid sono risultati precompilati da parte dei funzionari». In pratica i risparmiatori non si sono riconosciuti nelle risposte fornite. Qualcuno addirittura si è ritrovato con la laurea e con conoscenze finanziarie elevate quando in realtà aveva solo la licenza elementare.
In molti casi poi i titoli azionari sono stati fatti sottoscrivere insieme ai mutui per la casa o ai fidi per le imprese. «Questo fa incorrere la banca nel divieto di finanziamento dell’acquisto di azioni proprie previsto dal codice civile e da Banca d’Italia – spiega l’avvocato Antonio Pinto di Confconsumatori, l’associazione che ha attivato vari sportelli sul territorio -. Abbiamo scoperto che molti contratti di acquisto delle azioni sono stati stipulati in concomitanza con l’erogazione di finanziamenti e questo ci permetterà di far valere la nullità del contratto».
C’è poi l’ipotesi dell’induzione in errore. «Anche su questo faremo leva nei Tribunali – dice Pinto – I contratti dovranno essere annullati perché i risparmiatori hanno comprato in base a bilanci non veritieri con numeri sulle sofferenze che oggi, si scopre, non corrispondevano al vero».
Di vie per provare a riavere indietro qualcosa ce ne sono. Nel frattempo le associazioni provano anche la strada della mediazione con la banca. Nel caso Cirio e Parmalat aveva portato a dei risultati. L’idea è di ripercorrere lo stesso sentiero ma per ora le porte della banca sono tutte sbarrate.
Intanto, Bankitalia ha detto che il decreto del governo sulle Bcc aiuta, ma può essere migliorato. Con il dl che riforma le banche di credito cooperativo (Bcc) e istituisce la garanzia pubblica sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il governo ha preso la «direzione giusta», ha detto il direttore generale di Via Nazionale, Salvatore Rossi.
Il Cda riduce a 6,3 euro il prezzo dell’azione. Al via una valanga di cause per il rimborso
SANDRA RICCIO
MILANO
Una maxi svalutazione che, in un colpo solo, disintegra i risparmi di molte famiglie e di tanti imprenditori. Ai 117 mila azionisti della Popolare di Vicenza, che negli anni avevano creduto nella banca del Nord Est, non resteranno che pochi spiccioli: il 90% di quanto avevano investito è stato azzerato martedì sera dal consiglio di amministrazione dell’istituto che ha abbattuto il prezzo del titolo azionario a 6,3 euro dai 62,5 di prima (già in aprile dell’anno scorso era stato tagliato a 48 euro). E’ una batosta a cui molti erano ormai preparati: pochi mesi prima la vicina Veneto Banca aveva subito un’analoga sorte con le azioni deprezzate dell’81 per cento. Il peggio non è finito però perché adesso le azioni della Popolare di Vicenza verranno portate in Borsa (si deciderà tutto il prossimo 5 marzo). A quel punto sarà il mercato a stabilire il valore vero delle quote e le previsioni sono di altre salassate ancora.
In attesa di improbabili miracoli in Borsa, ai 117 mila azionisti (che si sommano agli 88 mila azionisti di Veneto Banca e agli altri 130 mila azionisti delle quattro banche salvate) non resta che la rabbia. Molti di loro si stanno muovendo anche sul piano legale per provare a riottenere indietro quel che avevano investito negli anni. Si moltiplicano le azioni e gli esposti alle procure. In questo un contributo arriva dalle associazioni di consumatori che hanno diverse iniziative sul campo. Per cercare di riottenere indietro i soldi puntano principalmente sulle azioni civili e in particolare sulla possibile invalidità del contratto stipulato. «Tra i casi che abbiamo esaminato ce ne sono moltissimi che rientrano in questa ipotesi – racconta Valentina Greco, avvocato dell’Unione Nazionale Consumatori -. Nel caso di Popolare Vicenza, molti questionari Mifid sono risultati precompilati da parte dei funzionari». In pratica i risparmiatori non si sono riconosciuti nelle risposte fornite. Qualcuno addirittura si è ritrovato con la laurea e con conoscenze finanziarie elevate quando in realtà aveva solo la licenza elementare.
In molti casi poi i titoli azionari sono stati fatti sottoscrivere insieme ai mutui per la casa o ai fidi per le imprese. «Questo fa incorrere la banca nel divieto di finanziamento dell’acquisto di azioni proprie previsto dal codice civile e da Banca d’Italia – spiega l’avvocato Antonio Pinto di Confconsumatori, l’associazione che ha attivato vari sportelli sul territorio -. Abbiamo scoperto che molti contratti di acquisto delle azioni sono stati stipulati in concomitanza con l’erogazione di finanziamenti e questo ci permetterà di far valere la nullità del contratto».
C’è poi l’ipotesi dell’induzione in errore. «Anche su questo faremo leva nei Tribunali – dice Pinto – I contratti dovranno essere annullati perché i risparmiatori hanno comprato in base a bilanci non veritieri con numeri sulle sofferenze che oggi, si scopre, non corrispondevano al vero».
Di vie per provare a riavere indietro qualcosa ce ne sono. Nel frattempo le associazioni provano anche la strada della mediazione con la banca. Nel caso Cirio e Parmalat aveva portato a dei risultati. L’idea è di ripercorrere lo stesso sentiero ma per ora le porte della banca sono tutte sbarrate.
Intanto, Bankitalia ha detto che il decreto del governo sulle Bcc aiuta, ma può essere migliorato. Con il dl che riforma le banche di credito cooperativo (Bcc) e istituisce la garanzia pubblica sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il governo ha preso la «direzione giusta», ha detto il direttore generale di Via Nazionale, Salvatore Rossi.